mercoledì 23 novembre 2016

Vergogna.





Vergogna è il  mio secondo Coetzee. Il primo è stato "La vita e il tempo di Michael K.", e no, avevo dovuto salutarlo in fretta e furia, perché stavo perdendo tempo, e anche molto. Mi infastidiva il personaggio, mi infastidiva la scrittura. Complice il gruppo di lettura, ho riprovato. Non vi dirò che la Via di Damasco è stata anche la mia via, perché non è così, e con ogni probabilità non correrei in libreria o in qualsiasi mercatino dell'usato a recuperare un libro di Coetzee. Però, c'è un però.
Vergogna mi è piaciuto, perché è un libro chiaro, semplice. Fatti narrati con linearità, con parole basiche, niente barocchismi, nessun fronzolo. Un libro nudo, scarno.
Coetzee usa questo linguaggio semplice per raccontare cose terrificanti: aggressioni, stupri, accuse di molestie sessuali, lotta fra bianchi e neri. Vuole mantenere il lettore in una posizione asettica, imparziale, raccontando solo i fatti per come sono andati e per quelli che sono. Sospende il giudizio, le frasi filosofiche, la morale. 
Ecco, qui dentro non ci troverete alcuna morale. Troverete invece il vostro sbigottimento, l'antipatia che potrete sentire per il personaggio principale, il Professor Lurie, e forse nemmeno solo per lui.
Troverete due modi di vivere contrapposti, città e campagna. Due modi di regolare le cose della vita in maniera diversa, processi con ammissioni di colpe e violenza fisica.
Non riuscirete a capire scelte che per voi dovrebbero essere scontate, ma che il contesto storico e sociale alcune volte inibisce, fino ad avvicinare in maniera morbosa la vittima al suo carnefice.
Poi, penserete al titolo, alla vergogna, e vi chiederete cos'è, se voi la provate, se loro la dovrebbero provare.
Qui, nessuno prova vergogna. Non c'è vergogna per rapporti sessuali che il regolamento proibisce e che vengono scoperti, non c'è vergogna nell'abbandono materno di una figlia, non c'è vergogna nel convivere con i propri aguzzini, non c'è vergogna nel ridurre tutto ad un piano fisico e pratico.
Si potrebbero scrivere pagine sulla vergogna, sul peso che può avere nella vita di tutti i giorni, e di come il comportamento con gli altri e con noi stessi, ne venga influenzato.
Nel libro non esiste. Forse qualche personaggio secondario la può percepire, ma viene abilmente nascosta dietro sguardi abbassati, o cortesie non richieste.
Vi farà sentire in Sudafrica, e capirete, se si può capire un Paese immerso nella guerra giorno e notte, il concetto di segregazione e di apartheid capovolto.
Sì, lo consiglierei, ma se non avete bisogno di redenzione, o di trovare personaggi positivi.
Ognuno si lascia cullare dal proprio destino, senza metterci mano.

giovedì 27 ottobre 2016

Imparare a dire sì.

Iniziamo dal titolo. Parole non mie, che però cerco, ostinatamente, ogni giorno, di fare mie.
Imparare a dire sì è la chiave di volta che ha usato Ivano Porpora per scegliere dieci nuove voci dei suoi corsi di scrittura. Dieci racconti che sono ospitati nel numero sedici di Cadillac, rivista letteraria.
Un numero che non ha seguito la logica periodica, un numero che è andato oltre le regole del tempo.
Per chi ancora non conoscesse Cadillac, vi lascio il link della homepage. Cadillac è una rivista di inediti, e come ogni inedito merita attenzione e mente sgombra.

Cadillac

Inutile che vi dica che la scelta fatta da Ivano sia una delle migliori su piazza, perchè qui dentro c'è gente che sa scrivere, e lo fa bene, con leggerezza. E intendo leggerezza alla Calvino.
Non vi parlerò di contenuti stilistici, tecniche di scrittura, perchè io non me ne intendo. Non so cosa siano, e non li so distinguere. Vi parlerò di due racconti, quelli che ho sentito miei, quelli dove ho visto Francesca seduta sull'erba a guardare tutto quello che succedeva.

Il primo è di Roberto Camurri, Di api, di maiali e di scoprirsi mortali.
Quando si dice che il titolo è importante, e nel titolo ci sono le api, i maiali (uno dei miei animali preferiti), e l'essere mortale. Io conosco, virtualmente, Roberto da qualche mese. Quando mi ha chiesto l'amicizia in Facebook, aveva una foto profilo con dei capelli da scappato di casa. E niente, mi è stato subito simpatico. Io comunque non mi sono fidata dei suoi capelli, e prima di accettare ho letto quello che scriveva, e ho detto sì. E credo che questo sì mi abbia fatto entrare in un mondo bello e delicato. Nel mondo di Roberto. Lui scrive in punta di piedi. Un osservatore lontano, appartato. Io lo immagino così. Nella sua scrittura riesce a rendere ogni dettaglio palpabile, con lui c'è poco di etereo, di effimero. Ci sono sensazioni che si possono toccare, annusare, sentire. C'è la realtà, e tutto quello che comporta la realtà. Il nostro continuo confronto con chi ci sta davanti. E con quello che ci sta attorno. Il racconto parla di una scelta, di un padre, di ricordi lontani, di animali vivi, che pulsano. Io ho sentito tutto. Gli odori, gli umori, la malinconia, l'essere uomo. Ci ho lasciato un pezzo di cuore, perchè ho rivisto mio padre, perchè mi sono persa anch'io, spesso, in certi spazi.

Il secondo racconto è di Carmen Verde, I cani lo sanno.
(Questa cosa che io abbia scelto due racconti dove siano presenti degli animali, mi fa pensare a quanto sia attratta da tutto quello che è l'istinto animale, e le sue forme di espressione, ed è buffo perchè io razionalizzo tutto).
Carmen non la conosco, ma spero di riuscire ad avvicinarmi a lei. Nelle sue parole ho ritrovato me stessa, la me stessa di questo periodo. Sono rimasta affascinata dal suo realismo magico. Lo definirei proprio così. Ci sono due personaggi, un'attesa, che poi diventerà ricerca, che poi muterà in consapevolezza. Il sentimento di amicizia, forse il sentimento più forte che può sperimentare un essere umano. E poi il passato e i ricordi. E chi e cosa può decidere quando un ricordo può essere dimenticato. E la fortuna di non restarne mai sprovvisti. Una fortuna enorme, che spesso ci dimentichiamo di avere.

Qui sotto vi riporto il link dal quale potete consultare o scaricare il PDF della rivista.

Cadillac numero 16

Vorrei ringraziare tutti quelli che qui dentro ci hanno scritto, perchè ho letto ogni racconto avidamente, con la speranza che potesse continuare ancora un po'.
Ringrazio ancora una volta Ivano. Lui sa perchè. E a noi basta.

F.


martedì 25 ottobre 2016

Parole in binario

Citofonare Francesca riapre. Ho dato una rinfrescata alle pareti, ho lavato le tende impolverate, e battuto i cuscini del divano con il battipanni, come ho sempre visto fare da nonna. Ah, ho cambiato pure il pezzettino di carta sul citofono. Sì, ho messo quella giusta, quella plastificata, quella che non scolorisce. Ho fatto le cose per bene. Potete quindi suonare, e vi aprirò. Qui l'accesso è libero e consentito senza limitazioni di orario. Se non sapete cosa fare a Natale, che si sa che le festività portano sempre una mattonata di nostalgia, potete girare a piedi nudi in soggiorno. Non vi dirò nulla. Non vi rimprovererò. Io amo le persone a piedi nudi.
La proprietaria di questo piccolo appartamento sono io, e quindi a me compete giustificare assenze e ritorni.
Me ne sono andata perchè il tempo mi è stato nemico. Amico non lo è mai stato, in maniera particolare. Ma ultimamente il nostro rapporto si era veramente sgretolato, e così ho dovuto riequilibrare il tutto e ricominciare daccapo. Nuove basi per nuovi obiettivi. Poi avevo questo problema delle idee. Troppe idee e tutte confuse. Troppa roba in pochi centimetri cubici. Roba che mi usciva dalle orecchie, pure di notte. Anche in questo caso, ho preso righello e squadra, e memore delle mie pochissime nozioni di disegno tecnico, ho tracciato una riga abbastanza perfetta. Ho ricominciato scrivendo sotto quella riga.
Sono tornata per le parole. Per quello che evocano. Per quello che vi fanno sentire, per come vi fanno sentire. Sono tornata per parlare di libri, e per sentirvi parlare di libri. Sono tornata per dire un po' come la penso su questo mondo di carta stampata, riciclata, lucida, digitale. Cercherò di essere uno specchio con pochi aloni. O per dirla in maniera spiccia: semplice, pulita, nuda.
In questi mesi ho riscoperto la potenza della parola. Il suo essere autonoma, collocabile in qualsiasi forma e in qualsivoglia spazio. La parola sussiste. Non ha bisogno di espedienti per procedere, non ha bisogno di camuffarsi, di rivestire un ruolo che non le appartiene. Io lo definisco 'l'egoismo della parola nuda'. E quanto mi piace. Mi piace perchè riporta all'essenziale, a quello che per te conta davvero, a quello che ti fa dire, e anche a quello cheh non ti fa dire, perchè non sapresti come esprimere il marasma che senti dentro.
Questo per me è il significato della parola. Questo per me è il significato di letteratura.
La buona letteratura è quella che ti seduce. E per sedurre deve saper descrivere anche un vaso di fiori appassiti. Puntando all'oggetto, illuminandolo, donandogli rotondità dove ci sono gli spigoli, e spigolosità dove è troppo liscio. La buona letteratura è quella che immortala gli attimi, quella che ti maartella per giorni, nella testa, una scena, un dialogo, una descrizione. E tutto questo lo deve fare raccontando storie. Tutto quello che vogliamo sentirci raccontare sono le storie. Da bambini vogliamo le storie per addormentarci, da adulti fantastichiamo su delle storie, da vecchi raccontiamo storie senza che nessuno ce le chieda. Raccontare storie deve essere la massima ambizione della letteratura, e di chi scrive. Chi sa raccontare storie resterà, per sempre. Chi sa parlare di cose complesse, in maniera semplice, sarà sempre capito da tutti. E tutti si affideranno sempre a lui. Le emozioni viaggiano su questo binario. Può non essere sempre diritto, anzi è necessario che presenti qualche sbavatura, qualche sbalzo, ma vi porterà sempre a un capolinea. E lì deciderete cosa fare. Se scendere o restare seduti nel vostro treno. Se guardare dal finestrino, o mescolarvi ai gomiti appoggiati al bar della stazione. Deciderete perchè qualcuno vi avrà guidato. Vi avrà dato la possibilità di farlo. Ci sarà stata umiltà e minorità. Da parte di chi scrive e da parte di chi legge.
Ho voluto fare questa introduzione, per farvi capire da che parte sto e cosa troverete qui dentro.
Ci saranno molti errori di ortografia, anche se sfrutto il correttore automatico. La punteggiatura è una cosa personale. E io ne faccio un uso personale. Non saranno rispettati capoversi o paragrafi.
Saranno solo parole in libertà, e parlerò,solo, di parole che secondo me rispecchiano libertà e passione. Anche sudore e molte lacrime. Ci saranno autori famosi, non famosi, poco famosi, libri cult, libri sconosciuti, editoria dipendente e indipendente.. Ci saranno le riviste di racconti, che amo proprio nella parola composta, riviste e racconti. Ci sarà anche chi scrive perle imperfette e di rara bellezza, e lo fa su Facebook, come comunemente facciamo più o meno tutti.
Allegherò una foto, perchè non mi piace vedere l'anteprima vuota, ma non ne avrei nessuna voglia.
Ho trovato comunque questa immagine in bianco e nero, e oltre ad amare molto questo tipo di fotografia, ci ho visto dentro il mio binario. Sotto sarà riportata  la fonte.

                                                                           
                                                                                                                           link

Mi sembra di avervi detto tutto, per il momento.
Un abbraccio a ognuno di voi, e lo sapete quanto sono premurosi questi abbracci.

F.

martedì 16 febbraio 2016

Milton Gendel

Ho scoperto che le mie emicranie vanno a braccetto con la pioggia, ma se ieri hanno avuto la meglio, oggi voglio essere più forte io. 
Giorni fa ho letto un'intervista su Repubblica, vi lascio qui il link:  http://www.repubblica.it/cultura/2016/02/07/news/milton_gendel_ho_scattato_fotografie_per_un_secolo_ma_mi_sento_ancora_un_volto_sfocato_-132931395/ ed ho avuto il desiderio di conoscere meglio questo fotografo.

Lui è Milton Gendel, artista quasi centenario, che arrivò alla fine degli anni '40 in Italia, per non abbandonarla più. Fotografo e critico d'arte ritrasse il mondo intellettuale dell'epoca, durante il boom economico, negli anni '60 della Dolce Vita. Roma per lui divenne una seconda patria, un posto, come dice, dove sentiva che passato e presente potevano unirsi e compensarsi. Durante gli studi americani venne in contatto con i maggiori esponenti del surrealismo francese e strinse una forte amicizia con Peggy Guggenheim, che poi continuò nel nostro Paese. 
Non è facile reperire del materiale fotografico in Internet, avrei voluto vedere i suoi scatti della Cina post bellica (1945-1946) o quelli di una Sicilia in chiave neorealista, ma si trova ben poco.
Anche i ritratti degli intellettuali e dei salotti di cultura non sono molti.
Vi lascio questo link, sempre di Repubblica, dove potrete vederne una carrellata: 
La mia preferita è sicuramente questa, dove viene ritratta Iris Origo


Io subisco da sempre il fascino di questi cenacoli intellettuali, di queste donne che riuscivano a raccogliere in una sala da tè i maggiori scrittori, poeti, artisti dell'epoca. Negli innumerevoli incontri che Gendel elenca, ad ogni nome maschile ne accosta uno femminile, ricordando queste donne come delle anime inquiete, rivoluzionarie, poco inclini a subire diktat o divieti. 

Gendel vive adesso in un appartamento della Fondazione Primoli, alla quale ha lasciato migliaia di scatti e di volumi. Non vi sto qui a spiegare i tesori che custodisce questo Ente: oltre alla Biblioteca Primoli, dello stesso conte che vi custodì cinquecentine, incunaboli, testi del '700 ed '800, vi trova spazio anche un Fondo Stendhal, con testi appartenuti allo scrittore ed un Fondo Mario Praz (potete consultare il catalogo on line).


Avete presente una collana di perle che nelle loro molteplici sfaccettature creano una luce perfetta e radiosa? Ecco, questo è quello che provo quando incontro queste storie.

F.

venerdì 12 febbraio 2016

La poetessa del peccato

Alcuni giorni fa su Facebook un'amica (un'insegnante veramente in gamba) mi ha fatto conoscere una poesia di cui io ignoravo l'esistenza.

Un’altra nascita
Tutto il mio essere è un canto oscuro
che nel continuo ripeterti

ti porterà

all’alba di eterne crescite e fioriture
in questo canto, io, ti ho sospirato, sospirato,
in questo canto, io,
ti ho congiunto all’albero, all’acqua e al fuoco
La vita forse
è un lungo viale dove ogni giorno
una donna attraversa con un cesto
la vita forse
è una corda con la quale un uomo
si impicca a un ramo d’albero
la vita forse
è un bimbo che torna da scuola
la vita forse
è accendere una sigaretta
nella pausa narcotica fra due amplessi
oppure lo sguardo assente di un passante
che si toglie il cappello di testa
e con un sorriso insignificante dice a un altro: «buongiorno»
la vita forse
è quell’attimo sbarrato
quando il mio sguardo si perde nelle pupille dei tuoi occhi,
e in ciò v’è un sentimento che unirò
alla percezione della luna e alla comprensione dell’oscurità
In una stanza grande quanto la solitudine
il mio cuore
grande quanto l’amore
guarda alle semplici pretese della sua felicità,
alla bellezza dell’appassire dei fiori nel vaso
alla piantina che tu hai interrato
nel giardino della nostra casa
al canto dei canarini
che cantano nello spazio di una finestra
Oh...
la mia parte è questa
la mia parte è questa
la mia parte
è un cielo portato via da una tenda appesa
la mia parte
è scendere una rampa di scale abbandonate
e giungere a qualcosa di logoro e nostalgico
la mia parte
è una malinconica passeggiata nel giardino dei ricordi
e morire nella tristezza di una voce
che mi dice:
«Amo
le tue mani»
Pianterò le mie mani nel giardino
crescerò, lo so, lo so, lo so
e le rondini deporranno le uova
nelle cavità delle mie dita, colorate d’inchiostro
Mi metterò gli orecchini
di due rosse ciliege gemelle
e incollerò alle mie unghie petali di dalia
C’è una stradina
dove i ragazzi che erano innamorati di me
con gli stessi capelli spettinati
e i colli sottili e le gambe magre
pensano ancora ai sorrisi innocenti di una ragazza
che una notte il vento portò via con sé
C’è una stradina che il mio cuore
ha rubato ai quartieri della mia infanzia
Il viaggio di una sagoma lungo la linea del tempo
e fecondare con una sagoma l’arida linea del tempo
la sagoma di un’immagine cosciente
che ritorna da una festa nello specchio
Ed è così
che qualcuno muore
e qualcuno resta
Nessun pescatore troverà mai una perla
in un esile rivo che finisce in una fossa
Io,
conosco una piccola triste fata
che abita in un oceano
e suona, dolcemente,
il suo cuore in un flauto magico
Una piccola triste fata
che muore di notte con un bacio
e rinasce all’alba con un altro bacio.
Forugh Farrokhzad

Avevo solo un'infarinatura veloce riguardo l'autrice, appresa durante una visione di un documentario notturno, ma questa poesia mi ha smosso qualcosa, è arrivata nella mia parte più segreta, quella nascosta che mostro a pochissimi. Ho spremuto quindi il fantastico mondo del WWW per avere notizie, testimonianze, altra poesia.
Mi sono imbattuta in tre pagine che sicuramente non racchiuderanno tutto quello che c'è da sapere su Forugh Farrokhzad, ma sono un ottimo punto di partenza.
Vi lascerò i link con una piccola descrizione:

Qui trovate narrata in maniera precisa ed esauriente tutta la vita e le opere della maggiore poetessa persiana del '900. Un'artista a 360 gradi che ha spaziato dalla poesia, al racconto, alla produzione cinematografica.

Questo è il resoconto che Forugh scrisse nel 1956 durante un suo soggiorno in Italia. Gli appunti di viaggio sono stati pubblicati nel 2012 nei Quaderni di Meykhane, rivista bilingue persiana-italiana, che si occupa di letteratura e di memorie di viaggi


L'ultimo link, forse il più importante, è un'analisi della poesia di Forugh, concentrata in un libro intitolato La strage dei fiori, mandato alle stampe nel 2007 dalla casa editrice Orientexpress. curato dal ricercatore Domenico Ingenito. (Vi consiglio di usare questa piattaforma se dovete ricercare pubblicazioni, è molto valida).

Vi consiglio di approfondire tutta la produzione letteraria di questa fantastica donna che si scagliò contro le ipocrisie di una società maschilista, violenta e dittatoriale.

A lunedì.
F.

giovedì 11 febbraio 2016

Chi di noi

Sono sempre a secco di letteratura latinoamericana,per cui oggi vi e mi voglio presentare questo libro:

                                                        source

Chi di noi è un esordio letterario datato 1953. L'autore è Mario Benedetti, scomparso nel 2009. Benedetti è stato uno dei maggiori poeti e narratori del'900. Direttore del Dipartimento di Letteratura Latinoamericana di Montevideo, fu costretto dopo il golpe del 1973, a scappare in esilio e ad iniziare una peregrinazione fra Argentina, Perù, Cuba e Spagna.
Edizioni Nottetempo pubblica adesso questo primo romanzo che riscontrò critiche positive nel panorama della critica uruguaiana del tempo. Di Benedetti viene ricordato anche il romanzo La tregua, sempre edito da Nottetempo nel 2006 e ripubblicato con gran successo nel 2014.

Chi di noi è la storia di un ménage à trois, un triangolo amoroso, che inizia negli anni del liceo fra Miguel, Alicia e Lucas. Il motore è Miguel, che seppur invaghito di Alicia, la ritiene destinata a Lucas. Si adopera quindi per far nascere l'amore fra i due, rimanendo invischiato dalle sue tattiche quando Alicia sceglierà lui. Il triangolo avrà ormai preso forma e la verità si presenterà sotto tre punti di vista. Un diario, una lettera ed un racconto esamineranno i vari personaggi e il loro ruolo all'interno di questa storia. Una dissolvenza della realtà che inghiottirà sentimenti, frustrazioni, desideri e solitudini.
"Chi di noi giudica chi?" sarà la domanda a cui il lettore dovrà dare una risposta, o forse no.

Ho dei problemi ad accedere al sito della casa editrice, quindi non so con precisione se per ogni libro venga fatto questo, ma con Benedetti hanno pensato di creare una playlist da ascoltare mentre si legge il libro. Geniale vero? Oltre ad immergerti nelle sonorità latine, ti fa conoscere artisti di cui la mia ignoranza si beava assai.
Grazie a questo "colpo di teatro" ho potuto incontrare Sybille Baier. Di lei vi avevo già parlato alcuni giorni fa su FB (per chi mi segue), ma mi prudono troppo le mani e la devo riproporre anche qui:


(Su di lei c'è una storia bellissima, andate a recuperarla nella mia pagina personale o cercatela in internet)

Il secondo "non ti conosco ma adesso so chi sei" è riservato a Franny Glass (rimando salingeriano?).
Non so nulla di lui, se non il volto che si vede su questo video di YouTube. Approfondiremo la conoscenza in questi pomeriggi di fine inverno.


L'unione di parole e musica è la migliore terapia contro i mali del mondo. Fortifica le armi dell'immaginazione che sono a nostra disposizione.
A domani.

F. 

mercoledì 10 febbraio 2016

Città in fiamme

Stamattina mi sono alzata con il piede giusto. Chissà quale sia poi..una volta ho letto un articolo che parlava di strani riti propiziatori, e si pensa che sia il piede destro quello giusto. Non faccio mai particolare attenzione a quale dei due piedi sia riservato l'onore e l'onere di incontrare il freddo parquet mattutino, però parecchie ore fa mi sono sentita in dovere di ringraziarla, questa estremità spesso poco coccolata.
Purtroppo la giornata si è evoluta in un turbinio di cattiverie ed acidità (non rivolte a me). Sto diventando troppo sensibile riguardo certi atteggiamenti che non mi vanno proprio giù. Forse è l'età che avanza o forse una totale fiducia che sto riservando al mio lato più sensibile.
Non voglio comunque che questa acidità di stomaco e di anima (altrui) vado ad intaccare il mio progetto, che ieri sera ha preso forma in una piccola stanza in penombra ed oggi intende presentarsi a voi.
Come scrivevo su Facebook, mesi fa avevo iniziato questo pellegrinaggio fra gli attimi di bellezza che una giornata ci può riservare, e li avevo lasciati qui. Vorrei sottolineare che sono i "miei personali attimi di bellezza". Possono essere poco o del tutto non condivisibili, e non voglio dirottare le vostre emozioni. Io trovo "il bello" in tutto ciò che mi meraviglia, mi stupisce, mi incuriosisce, mi fa sentire viva ed in continua evoluzione.
Oggi ho deciso di riprendere, in virtù della mia totale dedizione verso il potere della condivisione e del "fare rete". Voi mi state donando molto, ed il mio compito, qui e ora, è quello di donare a mia volta.
Immaginate che questa sia una stazione radio molto autonoma, e di poter cambiare frequenza a vostro piacimento o di diventare dei fedeli ascoltatori.



Sarà Mondadori che nel mese di Febbraio (e non sono riuscita a recuperare una data certa, forse il 16 Febbraio) porterà sugli scaffali delle vostre librerie il romanzo d'esordio dell'anno.
"Un selvaggio tuffo dentro la desolata confusione della New York dei tardi anni '70", è così che lo ha definito il magazine RollingStone.
Garth Risk Hallberg, un critico letterario classe 1978, che quella New York non l'ha mai vissuta, ma che l'ha sempre amata, fin da ragazzo. Cresciuto nel North Carolina inizia da adolescente il suo pellegrinaggio verso la Grande Mela, e nel 2003 mentre è su un autobus e vede i profili di Lower Manhattan, sente nelle cuffie, per puro caso, queste canzone di Billy Joel: Miami 2017.
Ha subito tutto in mente: i personaggi, la scena. Il suo romanzo.

Miami 2017 è una canzone del 1976 e parla del'ipotetica distruzione che subirà New York fra quarant'anni. Una profezia che collega un clima di tensione che stava vivendo in quegli anni la grande metropoli e quello che sarebbe successo nel 2001 (spero il suo effetto sia svanito).



La stesura del romanzo sarà poi ripresa e completata nel 2007,quando Hallberg si trasferirà con la famiglia a Brooklyn.
Città in fiamme utilizza un fatto di cronaca: l'uccisione di una ragazzina a Central Park il giorno di capodanno del 1976, con un colpo di pistola. Attorno a questo omicidio e lungo tutte le indagini compariranno i newyorkesi e le loro vite. L'alta società, Wall Street, gli anarchici, i ragazzini delle periferie. Tutti legati fra loro ed attratti da qualcosa che li condurrà inevitabilmente al Grande Blackout del 13 Luglio 1977, che per alcuni sarà la fine.




Il Blackout del 1997 iniziò la sera del 13 Luglio 1977 e terminò nel tardo pomeriggio del 14 Luglio.
Arrivò al culmine di una fase di decadenza della città, attraversata da delinquenza, gang locali, crisi fiscale e disoccupazione. Le rivolte, partite soprattutto dai quartieri più poveri, ed i saccheggi causarono danni per milioni di dollari e centinaia di arresti. In questo clima di ansia e terrore andava ad inserirsi poi anche la figura di un pluriomicida, tale David Berkowitz. Se siete appassionati di serial killer e volete saperne di più fatevi un giretto su Wikipedia.

Perché vi ho segnalato questa uscita?
Amo tutto quello che riguarda New York, mi spiace spiare la vita dei cittadini, le innumerevoli intersezioni, le vie d'uscita e di condanna. Credo sarà un'uscita promettente, un modo per ritornare a rivivere quegli anni di rivolta, di odio ed amore. La rivelazione che può portare una fatalità, un imprevisto della vita.

A domani

F.

martedì 19 gennaio 2016

Il weekend

Ieri sera ho avuto il consueto incontro mensile con il Gruppo di Lettura.
Libro del mese: "Il weekend" di Peter Cameron.


Come sempre, all'interno di un gruppo pensante, ci sono stati vari pareri in merito.
Personalmente non mi ero avvicinata al libro con aspirazioni di gridare al capolavoro. "Il weekend" è il mio primo testo di Cameron, un libro veloce, mai noioso, che può esser letto in poche ore.
La struttura è simile ad una sceneggiatura, i dialoghi fanno la parte del leone. Le poche descrizioni inserite dall'autore servono a collocare in una scena i personaggi, e devo dire che ci riescono benissimo, brillando per vivacità di colori e sensazioni.
I protagonisti sono pochi e ben delineati: John e Marian coniugi quarantenni di una upper class newyorkese che trascorrono la loro vita in una splendida villa a poche ore dalla città. Hanno un figlio, Roland, di quasi un anno.
Robert e Lyle, amanti da poche settimane. Stanno per raggiungere John e Marian nel giorno dell'anniversario della morte dell'ex compagno di Lyle, Tony.
Infine troviamo Laura, egocentrica figura che turberà la cena del sabato sera.
Sarò sincera: se pensate di trovare qualche messaggio universale all'interno di questo libro, avete sbagliato strada. L'autore volutamente dissemina ogni tanto qualche domanda su cui riflettere come "Conosciamo veramente chi ci sta accanto?" oppure "Riusciremo mai a ricordare le persone che ci hanno lasciato senza provare malinconia o tristezza?".
Io sono andata oltre, o forse mi sono fermata al primo livello. Credo che il primo livello sia il vero scopo di Cameron. Descrivere la banale quotidianità delle relazioni fra persone, di quello che può accadere in 48 ore, giusto un weekend.
Troviamo quindi il rapporto fra due coniugi con un figlio problematico perché considerato dalla madre troppo tranquillo, troppo concentrato su se stesso, senza dover rendere conto alle richieste degli adulti. Entriamo in punta di piedi in una nuova storia d'amore, dove un uomo maturo gode della bellezza e della freschezza di un ragazzo giovane, che crede fortemente nell'amore e pensa di averlo riconosciuto. Facciamo la conoscenza di una donna che affitta case di lusso per avvicinarsi ad una figlia che le serba rancore, che non la stima, che la considera più un'amica e nemmeno tanto cara.
Su tutto aleggia il ricordo di Tony, morto di AIDS nove anni prima, ed ancora fortemente presente nei pensieri di tutti.
Potrebbe essere il weekend di ognuno di noi: le relazioni di coppia, l'apprensione di dover essere sempre al pari con gli altri, la necessità di sentirsi amati, l'elaborazione di un lutto ancora troppo doloroso, la riscoperta della tenerezza, i legami familiari difficili.
Tutto potrebbe svelarsi in un weekend e tutto potrebbe essere così vorticoso da lasciare ben poco spazio all'analisi ed all'introspezione. Sono riflessioni che vanno lasciate decantare, nel tempo.
Consiglierei questo libro? Sì, perché nella foga degli avvenimenti vi lascia ben poco respiro, e vi costringe ad ammettere a voi stessi che spesso le avventure che sogniamo sono il nostro pane quotidiano. Un applauso meritatissimo a Cameron va per la grazia con cui ha tracciato le storie omosessuali. Non avevo mai letto niente di più delicato.

A presto con il prossimo libro.

F.

sabato 2 gennaio 2016

Nuovi inizi ed amori difficili

Oggi è il 2 Gennaio 2016. Oggi è il giorno giusto per ripartire. Ho messo a riposo questo blog circa due mesi fa, non per mancanza di idee o di cose di cui scrivere, semplicemente perché avevo bisogno di allontanarmene un po'. Sentivo l'esigenza di una direzione, giusta o sbagliata che fosse, ma ne dovevo trovare una. In queste settimane non mi sono mancate testimonianze di stima, vicinanza ed affetto. Ho capito quanto io sia sciocca a pensare che queste parole siano gettate al vento; niente di più sbagliato. Le mie parole, spesso sconclusionate e sgrammaticate, vengono recepite da molti e fatte proprie. Ho imparato il potere della condivisione, di come i chilometri sulla carta siano nulla rispetto al potere del "FARE". Io nel 2016 voglio fare, realizzare, costruire, sbagliare, sfasciare e rimontare il tutto. Non è il tempo per restare con le mani in mano, o almeno non lo è per me.
 Le passioni, gli stimoli vanno veicolati in qualche canale, altrimenti rischiano di impazzire e di provocare tumulti poco gestibili. Io ho scelto di comunicarle a voi, perché ho capito che mi ascoltate, mi leggete. Non mi sto dando un tono, o montando la testa; sto avendo la consapevolezza di aver qualcosa da dire, di saperlo dire discretamente bene, e di aver qualcuno che sorride nel leggerlo. 
Prima, scorrendo fra le notifche di Facebook, mi sono accorta di essere entrata in una "lista di cose da leggere". Sapete quelle liste che si stilano a fine anno: libri da leggere, film da vedere.. . Io sono entrata nella lista "dei blog da leggere per l'anno 2016". Mi sono detta: non è solo una conferma di quello che ho scritto nello scorso anno, è anche un invito a continuare in questo nuovo anno, a non essere pigra, svogliata, a credere nei miei progetti e nelle mie idee. Mi sono emozionata, molto.
Forse al mio posto ci potrebbe essere qualcuno con più costanza e meno crisi del tipo "Dove sono, cosa faccio", ma poi ho capito il valore di quello che ho creato, delle ore di studio, degli occhi stanchi davanti al pc, del mio quadernino logoro pieno di appunti. In questa lista ci sono io, e non un altro. Io valgo, ho un valore e me ne devo rendere conto. Questa nomina per me è una grande spinta, una marcia in più verso la strada che sto vedendo di fronte a me. Non ne vedo la fine, ma ne intuisco il percorso. Vorrei solo ringraziare Simone e la comunità di Pratosfera per credere in me. Siete persone che tengo in un posto speciale del cuore, un posto protetto.
Qui trovate il link al loro magazine: http://www.pratosfera.com/

I nuovi inizi sono i miei, i vostri; gli amori difficili sono i miei, i vostri, ma sopratutto quelli di Italo Calvino. Inizio questo nuovo anno parlandovi di loro.



Questa è esattamente l'edizione che ho letto io, un vecchio Struzzo Einaudi trovato in biblioteca e catalogato con il numero 94. L'avventura di un letture si direbbe.
Gli amori difficili sono una serie di racconti, che nel libro vengono divisi in due parti: gli amori difficili e la vita difficile. Nella prima parte Calvino ci parla di sentimento, a mio avviso sarebbe troppo riduttivo definirlo solo amore. Probabilmente starete sobbalzando sulla sedia a sentirmi definire l'amore come qualcosa di riduttivo, ma spesso lo usiamo in un'accezione talmente generica che ci dimentichiamo da cosa sia composto. A me piace parlare di sentimento perché è qualcosa che si sente, qualcosa di primitivo che ti nasce dalle viscere, che i tuoi stessi organi producono. L'amore è una somma imperfetta di sentimenti. Affetto, gratitudine, desiderio, gelosia, paura, rancore, passione, tenerezza, sfida. La lista potrebbe essere molta lunga e tutti noi avremo qualcosa da aggiungere e qualcosa da levare. Negli amori difficili ho ritrovato tutti questi sentimenti, quest'avventura di sentimento. Sono piccoli racconti dove attraverso gesti semplici, banali, quotidiani, Calvino descrive cosa può comportare l'incontro casuale con degli estranei. Un profumo, una ruga sulla pelle, il colore dei capelli, una luce imperfetta; piccoli dettagli che creano un'idealizzazione, qualcosa o qualcuno a cui aspirare. Una corsa verso un oggetto del desiderio, seppur momentaneo. Un'ambizione a voler esserci nel momento, in quel momento, senza pensare alle conseguenze ed alle motivazioni. Una scoperta emozionale, dei sensi.
La seconda parte è la vita difficile della quotidianità. La vita dei sacrifici economici, lavorativi, la vita lontana dagli affetti, la scarsa considerazione di sé e di come si riesce a stare nel mondo. Sono testi più cupi, in certi momenti assillanti, grazie a delle immagini forti che Calvino inserisce per far percepire al lettore il disagio e per capire con lui quale potrebbe essere la soluzione, la via d'uscita.
Una formica argentina che invade case, persone, all'apparenza innocua ma che scava formicai così profondi da scatenare rabbia, smarrimento, paura.
Una nuvola di smog che incombe sulla città. Molti non la possono, o vogliono vedere; altri la vorrebbero combattere nell'indifferenza, compresa la loro.
Calvino propone dei finali che rappresentano la piena presa di coscienza del problema ed il suo relativo allontanamento, seppur momentaneo. In una natura incontaminata, in una brezza marina, in una collina solcata da panni bianchi trova la serenità. La vita difficile dev'essere così, spesso non ci sono scorciatoie, sta a noi cercare delle oasi di pace per ricaricarci, per credere ancora che qualche angolo si possa scalfire, che le crepe sui muri non siano solo brutture, ma spiragli di luce.

Questa è la mia prima recensione. Cercherò di leggere molto, di portare avanti tutti i miei progetti. Sarà generosa con il mio sentimento, mai avara. Punterò alla luce.
Lo stesso valga per voi.
Con affetto.

Francesca