lunedì 22 giugno 2015

#365storieper365giorni (seconda settimana)

Buon inizio settimana a tutti! Come ogni lunedì sono qui per fare il resoconto della settimana precedente. Vi avviso già che a metà percorso ho avuto una battuta d'arresto, non tanto per la mancanza di voglia di scrivere, quanto per alcune riflessioni che sono nate in itinere..ne parlerò (ops..scriverò :) ) poi su Facebook.
Vi lascio qui comunque quello che sono riuscita a produrre..ci leggiamo presto!
P.S. : vi ricordo che per chi volesse seguirmi più o meno giornalmente e con più o meno costanza su FB, esiste la pagina del blog, basta digitare Citofonare Francesca. Grazie ancora!

Francesca

15 Giugno.



Giovanni si svegliò come tutte le mattine alle 5. Se avesse dovuto indicare obbligatoriamente l'orario preferito durante tutto l'arco della giornata, sarebbero state sicuramente quelle 5 del mattino. A quell'ora si respirava vita. La rugiada sulle foglie vibrava con il vento, i fiori iniziavano a raddrizzare i loro petali, gli uccelli preparavano gli spartiti per i loro canti. A Giovanni piaceva aprire i vecchi infissi di legno e respirare a gran polmoni. Il gesto dell'espirare gli costava quasi fatica, gli sembrava di perdere tutta la bellezza, di lasciarla scappare via, di regalarla a qualcuno. Poi però ricordava che a distanza di 5 chilometri non c'era nessuno, almeno nessuno di razza umana, e la cosa lo tranquillizzava. 
Questa era la sua nuova vita da sei mesi, da quando la Sig,ra Banca Internazionale gli aveva fatto trovare un anonimo scatolone rettangolare sulla scrivania, per raccogliere i suoi oggetti. Oggetti che erano stati i suoi fedeli compagni per dieci lunghi anni. Quella scatola se l'era portata lì, fra i campi di granoturco, l'aveva sigillata per bene e riposta nella soffitta polverosa, con dei vecchi attrezzi agricoli. 
Il vecchio Giovanni era chiuso lì dentro e lì ci sarebbe rimasto.
Lui adesso era un contadino, lui adesso stipulava contratto con le sementi, con gli ortaggi, con le vacche. Erano contratti difficili, spesso doveva piegare la testa ed arrendersi alla forza della natura. Ma la maggior parte delle volte erano contratti vantaggiosi. Si sentiva soddisfatto del suo lavoro, di come lo svolgeva, dei risultati che otteneva.
Quando era stato licenziato, aveva impiegato un mese ad elaborare il lutto. Sì, era stato un vero e proprio lutto per lui. Era solo, aveva solo la Sig.ra Banca. I genitori erano morti quando Giovanni era poco più che adolescente, strappati alla vita da malattie incurabili. Era cresciuto sotto la tutela di una zia romana, che vedeva poco, e che si materializzava solo in contanti. Finita l'università era stato subito assunto dalla Banca. Nessuna fidanzata, o moglie, o ex moglie; solo amanti passeggere. 
Una domenica mattina, mentre stava bevendo un caffè al bar sotto casa, lesse quell'annuncio sul giornale : " Cercasi aspirante contadino per gestione azienda agricola, zona Montello". Aspirante contadino. Un fulmine a ciel sereno per Giovanni. Si presentò al colloquio il giorno successivo. Antonio era un uomo anziano, stanco. I figli non ne volevano sapere di continuare l'attività del padre e lui non voleva abbandonare quello che aveva creato in quarant'anni di lavoro, i suoi campi, la sua stalla. Non avrebbe potuto pagarlo molto, 500 euro, ma tutti i frutti della terra sarebbero rimasti a Giovanni. Lui si sarebbe preso solo una piccola percentuale, ed un piccolo pezzo di terra per essere sepolto lì, una volta che se ne sarebbe andato. Giovanni disse : "Lo faccio io, mi prenderò cura delle sue vacche, della sua terra, delle sue viti." Antonio accettò quell'uomo venuto dalla città , con le mani lisce e la pelle chiara. Si sarebbe bruciato al sole, e tagliato le mani con i rami nodosi degli alberi, ma gli occhi bruciavano, bruciavano di un ardore che gli ricordò i suoi vent'anni. Gli disse sono una cosa : " Sarai solo ragazzo, il primo paio di occhi umani dista 5 chilometri da qui, dovrai cavartela ogni giorno con Lei". Giovanni guardò i filari che si stendevano a perdita d'occhio, sentì l'odore secco della terra salirgli alle narici : "Io sono sempre stato solo, adesso ho Lei".


16 Giugno.



Come ogni anno ritornava inesorabile il giorno di Natale. Alice era partita presto quella mattina, sua madre era stata tassativa "Alle 12.00 si mangia". Non era riuscita a prenotare in tempo un biglietto del treno ad un costo decente ed onesto, e così aveva preso l'auto ed era partita da Firenze alle 7.00. Ad Alice piaceva guidare in solitudine; molti suoi amici non ci riuscivano, si addormentavano, dovevano abbassare per forza il finestrino per prendere un po' d'aria, chiamavano tutta la rubrica del cellulare..ad Alice bastava della buona musica ed una sosta a metà viaggio. Non aveva nemmeno l'abitudine di scegliere il miglior autogrill. Una volta aveva fatto un viaggio con Sandro di un paio d'ore e si era sciroppata recensioni di autogrill senza fine, con conseguente fermata all'Autogrill Stellato.
Arrivò a casa dei suoi verso le 11.30. Iniziava a nevicare e sua madre aveva già acceso le luminarie "perché oggi è Natale e vanno lasciate accese tutto il giorno, pure domani però eh?".
Prese i pacchetti dal sedile posteriore e per non disturbare aprì la porta di casa con il mazzo di chiavi che teneva sempre in auto.
Sentì subito il lavorio frenetico che proveniva dalla cucina, lasciò i pacchi sul divano e si accostò alla porta a scomparsa.
"Arrivata!".
Sua madre stava mescolando vorticosamente qualcosa in una terrina blu, forse maionese :
"Ben arrivata cara! Fatto buon viaggio?.. ti metto subito al lavoro, o mi mescoli la maionese (esatto) con grazia e costanza, o aiuti tuo padre a girare le coscette di pollo in forno.."
"Vado di coscette".
Alice si avvicinò al forno e sorrise a suo padre. Non aveva una preferenza verso le coscette, voleva solo scambiare un sorriso sornione con suo padre ed un alzata di sopracciglia.
Suo padre la colpì con il mestolo sul sedere :
"Trovato traffico? Tua madre mi ha fatto alzare alle 5 per preparare il ragù..meno male che Natale viene una volta all'anno.."
"Già..meno male. Parenti in arrivo?"
"Tua zia Roberta e tua zia Ornella"
" E basta, ed il resto?"
"Domani Alice, domani..non temere..".
Zia Roberta e zia Ornella erano rispettivamente le sorelle di suo padre e sua madre. Due sessantenni single, che non si erano mai sposate, ma non ne avevano ancora perso la speranza. Erano decisamente troppo curiose ed impiccione, ma dolci, materne con Alice.
Alle 12.00 suonò implacabile il campanello. Alice andò ad aprire e venne letteralmente sommersa da baci ed abbracci come avesse ancora avuto dieci anni. Le abbandonarono sulle braccia una pila di pacchettini confezionati alla perfezione.. Alice inciampò su quel maledetto tappetto che si arrotolava sempre su sé stesso e rovesciò tutto sul divano. 
Avrebbe voluto dire a sua madre di levarlo, ma il tappeto era di nonna, e nonna non c'era più.
Quando si sedette a tavola si ritrovò in un piccolo gineceo. Il suo piccolo gineceo. Le amava e le detestava allo stesso tempo.
Lei e suo padre erano seduti a capotavola e si fissarono.
Sorriso sornione, alzata di sopracciglio.


17 Giugno.



Oggi non ci sarà nessun racconto di finzione. Oggi ci sarà un pensiero, o almeno una serie di consigli, per chi ha iniziato questa maturità. Mi sono sempre chiesta : "ma maturità di cosa?". Maturità di scelte per il futuro? Ho seri dubbi, anzi dubbi più che fondati. Maturità di sentimenti? Quella credo non si raggiunga mai, o con molta difficoltà. Maturità nel ragionare, fare di conto etc? Noi siamo in continua evoluzione, una volta che ti sembra di aver raggiunto la piena capacità delle tue facoltà mentali, arriva qualcosa a metterti in difficoltà. Diciamolo chiaramente, i maturandi non sono per niente maturi, si affacciano malapena all'età adulta. Ma quanto ci piace chiamarlo "Esame di Maturità".
Ed allora visto che dovete maturare in circa tre settimane, vi dico cosa ho imparato io, cosa mi piacerebbe rifare o riprovare ogni anno, e quanto mi mancano ogni anno queste tre settimane.
1. Non studiate in maniera ossessiva e compulsiva, anzi in queste tre settimane non dovreste proprio studiare, se vi siete impegnati costantemente durante tutto l'anno. Dovrebbe essere solo un ripasso. Ma se dovete fare la mega sessione di studio fatela di notte. Le notti estive per voi maturandi sono fatte per studiare, bere caffè, studiare, bere caffè, vi è consentita qualche sigaretta azzera ansia. Lo so, non è salutare, gli specialisti non lo consigliano..ma questo vi preparerà alle sessioni d'esame universitarie e vi farà arrivare all'orale con quel tantino di isterismo e di occhiaie da suscitare una lieve compassione
2. Prima di ogni prova, andate nel vostro baretto di fiducia. Sì, quello dove vi andavate a rifugiare quando i cancelli della scuola non li superavate. Quella è la vostra casa, la dovete amare fino all'ultimo, salutare per bene se vi dovrete trasferire di città, lasciarla a chi verrà dopo di voi o a chi c'è già. Abbuffatevi di cornetti, bombe alla crema, succhi ipercalorici. Zuccheri, ragazzi, solo zuccheri. Vorrete mica farvi venire una crisi glicemica in pieno saggio breve?
3. Fate feroci sessioni di training autogeno nei bagni. I bagni, quanti ricordi..le più immani tragedie di sono consumate nei bagni..tradimenti, amori non corrisposti, crisi adolescenziali, n.c. nei compiti di matematica. Osservatevi allo specchio e rilassatevi. No, non dovete rilassarvi con un sapore dolciastro che fa arrivare all'istante il Presidente di Commissione, dovete solo purificare il vostro karma e cercare di tatuare sulla schiena di chi vi sta davanti la traduzione della versione.
4. Diciamolo, se proprio volete copiare, fatelo con astuzia. L'unico escamotage possibile è suscitare tenerezza e compassione nei docenti interni. "Prof, sono un giovane maturando, mi aiuti"..e aiuteranno, vi aiuteranno, benedetti Prof. Vi vogliono un bene dell'anima, voi non sapete quanto.
5. Puntate al prof più carogna, quello che vi ha fatto impazzire durante l'anno, quello che mannaggiasantissima vi faceva studiare tomi di 300 pagine, per darvi un misero 6,"perché tu le lacune te le porti dalla prima, non posso alzarti il voto". Bene, dimenticate tutto l'odio viscerale di cinque anni, e scegliete lui. I prof carogna alla maturità si convertono. Sono talmente orgogliosi di avervi portati fin là, che all'orale vi chiederanno la tabellina del 2 o la prima declinazione in latino. Alla fine vi baceranno pure, siete il loro figliol prodigo.
6. Non andate al mare, non esponetevi in giardino. Schermo totale. Dovete arrivare emaciati, pallidi, dimagrite pure 1-2 kg, fatevi venire qualche malattia mai avuta prima (tipo io mi sono fatta venire, di proposito, la stomatite..sputavo letteralmente sangue nei bagni pieni di karma). Dovete essere sofferenti, il vero maturando soffre, è pregno di esistenzialismo.
7. Vivete questa esperienza come la prima vera prova della vostra vita. Ce ne saranno altre, anche di più serie, ma questa è la prima vera sfida con voi stessi. Guardate i volti dei prof che state per lasciare, catturate i loro sguardi, vi accompagneranno per la vita. Abbracciate i vostri compagni di classe, la vita vi porterà lontano, vi allontanerà. Toccate i muri che vi hanno ospitato per cinque lunghi anni, gli armadi scassati e pieni di libri, prendete un ultimo caffè a quelle fottutissime macchinette che vi fregavano sempre i soldi. Sorridete a chi sta prendendo possesso della vostra scuola, affidatela. Lo so, ne siete gelosi, ma è giusto così, è vita che se ne va, vita che cambia.
8. Ogni tanto, anche a distanza di anni, ritornate alle 8 davanti quel cancello. Gli studenti non faranno caso a voi, forse vi urteranno pure, saranno maleducati; ma voi sarete oltre, oltre quel cancello, dentro quelle mura.
In bocca al lupo a tutti!


lunedì 15 giugno 2015

365 giorni per 365 storie (più o meno)

Citofonare Francesca è vivo, non abbiate timori. Trovo solo inutile scrivere per riempire un foglio, seppur virtuale. Ho bisogno di stimoli, di cose belle di cui parlarvi. Alcune volte è difficile scovarle, e non mi va di imbonirvi con delle cosucce di misera qualità.
Oggi comunque si torna, e questa "rubrica" ci sarà ogni lunedì. Spero vivamente di poterle donare la giusta compagnia, ma non vi prometto nulla, per non deludervi.
Citofonare Francesca ogni lunedì ospiterà le mie storie. Per chi mi segue sui vari social sa che ho iniziato questa maratona letteraria che durerà un anno, più o meno. Ogni giorno (salvo qualche giorno di meritato riposo, o di ferie diovibenedica), cercherò di scrivere un piccolo racconto. Una piccola "storiella" che prenderà spunto dalle emozioni quotidiani, da una parola letta che riuscirà a scatenare la fantasia, da un acquazzone improvvisa che renderà tutto più chiaro. 
Ho dovuto eliminare l'opzione Instagram, a mio malincuore. IG ha un limite alle parole che possono essere inserite con una foto, e la mia logorrea non perdona. Non mi va nemmeno di fare dei tagli ai racconti, visto che li scrivo di getto e controllo solo la consecutio temporale (sto facendo della sana ironia eh..? :) ). Per questo motivo, pubblicherò le mie creature solo su FB, sulla mia pagina personale e su quella del blog, ed una volta alla settimana li raccoglierò tutti qui.
Spero di riuscire a mettere a disposizione di tutti voi più mezzi possibili per raggiungermi.
Ditemi se vi piacciono, cosa ne pensate. Commentatemi ovunque, io vi trovo sempre ;) .

11 Giugno.
La incontravo tutte le mattine in quella caffetteria del centro. Io mi fermavo prima di andare in ufficio, un caffè lungo e una tortina alle mele. Lei era sempre seduta al solito tavolino. Un piccolo tavolino rotondo con due sedie, sorseggiava un capuccino. Avrà avuto un'ottantina d'anni, ma avrebbe potuto averne avuti novanta. Non le sapevo dare un'età. Era sempre molto elegante ed indossava delle sciarpe quasi impalpabili, sicuramente di seta. Non la vedevo mai con qualcuno,sempre sola. Un giorno mi accorsi che mi osservava; intimidita mi ritrassi dal tavolino dove stavo leggendo il giornale, ma continuava ad osservarmi. Mi guardava le mani, le unghie. Le sue erano laccate di rosso, perfette nonostante l'età. Io non ero mai riuscita a mettere uno smalto senza combinare disastri, le portavo nude, cosí come crescevano, irregolari. Ad un certo punto pensai che la sua attenzione fosse catturata dal serpentello che avevo tatuato sul polso. Non ci pensai troppo e le dissi : "È un errore di gioventù, ma non potrei mai cancellarlo". Mi guardò negli occhi e mi disse : "Lo trovo molto grazioso, Lei mi ricorda molto una mia amica di Milano". Cosí conobbi Elisetta, o come si faceva chiamare lei, Lisetta. Era vedova. Aveva due figlie, ma lavoravano a Verona, le vedeva comunque ogni domenica, scendevano a trovarla e cucinavano tutte assieme. Aveva lavorato a Milano, prima come cameriera in una casa di "signori", poi alla Coin come commessa. "Ero molto bella, mio marito lavorava negli uffici, ci siamo innamorati subito". Vissero la loro vita nella città e con la pensione tornarono qui, da dove Lisetta era partita. Ci incontravamo quasi tutti i giorni, chiaccheravamo dieci minuti e poi ci auguravamo una buona giornata. Il sabato mattina l'accompagnavo in cimitero. Le figlie non volevano che lei parlasse con una lapide, con me se lo poteva concedere. Continuammo cosí per tutta l'estate e l'autunno. Un tardo pomeriggio di Novembre mi chiamò una donna, era Katia, la figlia più piccola di Lisetta. 
"Mamma ha avuto un ictus, chiede di te, non le resta molto". Lisetta se ne andò in poche ore, strappandomi la promessa di una manicure perfetta.



12 Giugno. 
Presenziare a quelle feste era un'agonia senza fine. Carlo era arrivato in ritardo, visibilmente stanco e scontroso, ma aveva la necessità di bere, eliminare la pessima giornata che aveva appena trascorso. Salutò Adriana e Giovanni, i suoi vecchi compagni di università, nonché proprietari dell'hotel e della terrazza festaiola. Come erano banali tutte quelle persone lì convenute, come era banale anche lui. Notaio in una città di provincia, cinquantenne troppo giovane per sembrarlo. Come tutti, come tanti. Con un gin tonic in mano li osservava, sforzava qualche sorriso di circostanza e cercava di ricordare il nome di quella mora siliconata. Poi vide Greta, un vestito di lino grezzo, due gocce d'ambra alle orecchie, e dei capelli biondo cenere. Era la figlia di Adriana e Giovanni, trentenne, gallerista a Venezia. 
"Buonasera dottore". Era il loro saluto, da quando Greta aveva scoperto l'uso della parola. "Ciao Greta". Lui si ostinava a darle del tu, senza aver mai pensato se la cosa l'avesse potuta infastidire.
"Gin tonic..giornata pesante?"
" Sì, decisamente..e la tua?"
" Non più del solito, qualche turista che si vuole spacciare come il critico d'arte internazionale più quotato. Tutto nella norma".
Guardando oltre la spalla di Greta, vide arrivare Adriana, con la mora siliconata sottobraccio. 
"Carlo, Carlo..ti ricordi Alessia? Il mese scorso...a cena..dai..non ricordi?"
No, non ricordava e non voleva ricordare, non in quell'istante perfetto.
Greta si allontanò lieve, senza far rumore. Passò una mano su fianco della madre e sparì fra la gente.
Carlo continuò a cercarla con occhi avidi. Dov'era finita, e chi erano quelle bocche che parlavano a pochi centimetri da lui..
Uno squillo, poi un altro. Il telefono aveva iniziato a suonare. Lo levo dalla tasca della giacca. Angela, la sua segretaria.
"Dottore, mi scusi per l'ora, ma Le volevo ricordare l'appuntamento di domani alle 11.00 con i signori Innocenti, per il rogito.. ".
"Grazie Alessia".
"Si figuri, è il mio lavoro..Buona serata Dottore".
Quelle due bocche non avevano smesso di vomitare parole nemmeno per un secondo. Non le seguiva, non le capiva.
Finì il gin tonic in pochi sorsi ed accusando un mal di testa improvviso si congedò da Adriana, dalla siliconata Alessia, da tutta quella bolgia di pelle sudata e vestiti troppo fascianti e si diresse all'uscita.
Scese le scale ed all'entrata dell'hotel, appoggiata ad un muretto, trovò Greta.
Aveva sciolto i capelli, li sistemava con le mani. Erano capelli ribelli, intrisi di salsedine.
"Hei Dottore, vieni a fare quattro passi in riva al mare?"
Vieni..dopo ventotto anni di Lei, arrivava un tu.
"Devo andare, mi aspettano degli amici".
La scusa più banale e stupida. Nessuno aspettava Carlo, solo un appartamento troppo buio e caldo.
"Ok Dottore. Arrivederci".
Così dicendo Greta si alzò in piedi, sfilò le infradito, le prese in mano e si diresse verso la spiaggia, verso il mare.
Carlo restò immobile a guardarla. Guardava i suoi piedi, la naturalezza con cui camminava scalza, il suo essere un tutt'uno con la terra. Alla fine sparì nel buio.
Arrivato all'auto sentì vibrare il cellulare. Un messaggio. Si sentì avvampare, forse era Greta, forse era lei che gli chiedeva di raggiungerla, di non lasciarla sola, di condividere con lei il troppo buio. Sfilò il cellulare dalla tasca con due dita. Scottava, o erano le sue mani.
Un nuovo messaggio.
"Dottore, sono sempre Alessia. Mi raccomando, ore 11.00".



14 Giugno.
Ore 14.00. Chiara, come ogni sabato, sta uscendo per il suo appuntamento settimanale. Non viene richiesto molto trucco, né un abbigliamento particolare,è un appuntamento con sé stessa. Lei fra pochi altri. Il luogo dell'incontro dista pochi chilometri, cinque minuti in auto. Chiara arriva puntuale, come ogni sabato, ore 14.15.
Varca le porte automatiche ed incontra subito Anna. Sì, lei li conosce tutti. All'inizio non era stato facile, c'era stata molta diffidenza. Gli sconosciuti fanno sempre paura, almeno alla maggior parte delle persone, ma Chiara non era come la maggior parte.
Anna è sempre lì, al suo solito posto. A quell'ora è china sul pc, a riempire dei moduli su dei fogli excel. Saluta sempre a malapena, non perché sia scortese, ma perché è troppo concentrata, è immersa nel suo mondo. Chiara osserva per una manciata di secondi quella chioma color prugna, che rimane china anche al suo passaggio, e passa oltre.
Si intrattiene a lungo nello spazio adiacente ad Anna. Ci sono troppi colori ed odori per andarsene subito. Meritano attenzione, tatto ed olfatto. Chiara cerca di entrare in contatto con loro, capire quale sia la loro provenienza, se hanno viaggiato a lungo, se sono stati esposti alle intemperie. Alle 14.30 è il turno di Giorgio. 
Giorgio è un ragazzetto sui vent'anni. Chiara lo chiama proprio così "ragazzetto", perché il suo corpo è acerbo, minuto in ogni suo aspetto. Sembra che l'adolescenza per lui non abbia mai avuto fine. Giorgio è il custode dei colori. Li maneggia con cura, li osserva, li sistema perché siano comodi e felici. Sì, felici. Chiara lo lascia fare, non disturba. Il suo è un compito importante, e lei lo sa benissimo. 
Ore 14.40. Chiara è a metà del suo appuntamento. Incontra Maria e Lorenzo. Maria e Lorenzo, due mondi così diversi eppure così simili. Maria è legata al mare, alle onde, Lorenzo è legato alla terra, al sole. Lavorano vicini, spesso si ignorano. Sono i loro elementi ad imporlo. Il sole rosso, accecante di Lorenzo farebbe del male al blu infinito delle onde di Maria. Si possono solo sfiorare e scambiarsi dei lampi di luce ad intermittenza. E' il loro personale modo di comunicare:freddi lampi di luce che fendono l'aria. Più volte Chiara ha cercato di imparare quell'alfabeto sconosciuto, ma Maria e Lorenzo non lo hanno permesso, ne sarebbero stati custodi in eterno.
L'appuntamento di Chiara sta per volgere al termine, adesso deve trascorrere dieci/quindici minuti sola. Vaga nei corridoi, quasi sempre vuoti. Ogni tanto scorge qualcuno. Vorrebbe avvicinarsi e chiedere come ha trovato i capelli di Anna, eccessivi? o se Giorgio non sia troppo giovane per un incarico di tale portata..o se l'alfabeto segreto sia poi per tutti così segreto...
Ore 15.00. Chiara sta per andarsene. L'ultima persona che deve vedere, obbligatoriamente, è Tamara. Tamara ha le chiavi della porta d'uscita. E' bella Tamara. Un caschetto di capelli neri su due labbra rosse. Chiara osserva i suoi gesti veloci, meccanici. Gesti che ripete per 4, 6 ore di fila. Sorrisi che ripete per 4, 6 ore di fila. "Buona giornata Chiara" " Buona giornata Tamara".
Ore 15.10. Chiara ha sistemato in maniera confusa, come al solito, colori, odori, soli cocenti e onde prorompenti. Si dirige lenta verso il pedaggio. Depone il carrello e ritira il suo euro. L'euro del sabato, l'euro della routine.



Un abbraccio.

Francesca