Citofonare Francesca è vivo, non abbiate timori. Trovo solo inutile scrivere per riempire un foglio, seppur virtuale. Ho bisogno di stimoli, di cose belle di cui parlarvi. Alcune volte è difficile scovarle, e non mi va di imbonirvi con delle cosucce di misera qualità.
Oggi comunque si torna, e questa "rubrica" ci sarà ogni lunedì. Spero vivamente di poterle donare la giusta compagnia, ma non vi prometto nulla, per non deludervi.
Citofonare Francesca ogni lunedì ospiterà le mie storie. Per chi mi segue sui vari social sa che ho iniziato questa maratona letteraria che durerà un anno, più o meno. Ogni giorno (salvo qualche giorno di meritato riposo, o di ferie diovibenedica), cercherò di scrivere un piccolo racconto. Una piccola "storiella" che prenderà spunto dalle emozioni quotidiani, da una parola letta che riuscirà a scatenare la fantasia, da un acquazzone improvvisa che renderà tutto più chiaro.
Ho dovuto eliminare l'opzione Instagram, a mio malincuore. IG ha un limite alle parole che possono essere inserite con una foto, e la mia logorrea non perdona. Non mi va nemmeno di fare dei tagli ai racconti, visto che li scrivo di getto e controllo solo la consecutio temporale (sto facendo della sana ironia eh..? :) ). Per questo motivo, pubblicherò le mie creature solo su FB, sulla mia pagina personale e su quella del blog, ed una volta alla settimana li raccoglierò tutti qui.
Spero di riuscire a mettere a disposizione di tutti voi più mezzi possibili per raggiungermi.
Ditemi se vi piacciono, cosa ne pensate. Commentatemi ovunque, io vi trovo sempre ;) .
La incontravo tutte le mattine in quella caffetteria del centro. Io mi fermavo prima di andare in ufficio, un caffè lungo e una tortina alle mele. Lei era sempre seduta al solito tavolino. Un piccolo tavolino rotondo con due sedie, sorseggiava un capuccino. Avrà avuto un'ottantina d'anni, ma avrebbe potuto averne avuti novanta. Non le sapevo dare un'età. Era sempre molto elegante ed indossava delle sciarpe quasi impalpabili, sicuramente di seta. Non la vedevo mai con qualcuno,sempre sola. Un giorno mi accorsi che mi osservava; intimidita mi ritrassi dal tavolino dove stavo leggendo il giornale, ma continuava ad osservarmi. Mi guardava le mani, le unghie. Le sue erano laccate di rosso, perfette nonostante l'età. Io non ero mai riuscita a mettere uno smalto senza combinare disastri, le portavo nude, cosí come crescevano, irregolari. Ad un certo punto pensai che la sua attenzione fosse catturata dal serpentello che avevo tatuato sul polso. Non ci pensai troppo e le dissi : "È un errore di gioventù, ma non potrei mai cancellarlo". Mi guardò negli occhi e mi disse : "Lo trovo molto grazioso, Lei mi ricorda molto una mia amica di Milano". Cosí conobbi Elisetta, o come si faceva chiamare lei, Lisetta. Era vedova. Aveva due figlie, ma lavoravano a Verona, le vedeva comunque ogni domenica, scendevano a trovarla e cucinavano tutte assieme. Aveva lavorato a Milano, prima come cameriera in una casa di "signori", poi alla Coin come commessa. "Ero molto bella, mio marito lavorava negli uffici, ci siamo innamorati subito". Vissero la loro vita nella città e con la pensione tornarono qui, da dove Lisetta era partita. Ci incontravamo quasi tutti i giorni, chiaccheravamo dieci minuti e poi ci auguravamo una buona giornata. Il sabato mattina l'accompagnavo in cimitero. Le figlie non volevano che lei parlasse con una lapide, con me se lo poteva concedere. Continuammo cosí per tutta l'estate e l'autunno. Un tardo pomeriggio di Novembre mi chiamò una donna, era Katia, la figlia più piccola di Lisetta.
"Mamma ha avuto un ictus, chiede di te, non le resta molto". Lisetta se ne andò in poche ore, strappandomi la promessa di una manicure perfetta.
12 Giugno.
Presenziare a quelle feste era un'agonia senza fine. Carlo era arrivato in ritardo, visibilmente stanco e scontroso, ma aveva la necessità di bere, eliminare la pessima giornata che aveva appena trascorso. Salutò Adriana e Giovanni, i suoi vecchi compagni di università, nonché proprietari dell'hotel e della terrazza festaiola. Come erano banali tutte quelle persone lì convenute, come era banale anche lui. Notaio in una città di provincia, cinquantenne troppo giovane per sembrarlo. Come tutti, come tanti. Con un gin tonic in mano li osservava, sforzava qualche sorriso di circostanza e cercava di ricordare il nome di quella mora siliconata. Poi vide Greta, un vestito di lino grezzo, due gocce d'ambra alle orecchie, e dei capelli biondo cenere. Era la figlia di Adriana e Giovanni, trentenne, gallerista a Venezia.
"Buonasera dottore". Era il loro saluto, da quando Greta aveva scoperto l'uso della parola. "Ciao Greta". Lui si ostinava a darle del tu, senza aver mai pensato se la cosa l'avesse potuta infastidire.
"Gin tonic..giornata pesante?"
" Sì, decisamente..e la tua?"
" Non più del solito, qualche turista che si vuole spacciare come il critico d'arte internazionale più quotato. Tutto nella norma".
Guardando oltre la spalla di Greta, vide arrivare Adriana, con la mora siliconata sottobraccio.
"Carlo, Carlo..ti ricordi Alessia? Il mese scorso...a cena..dai..non ricordi?"
No, non ricordava e non voleva ricordare, non in quell'istante perfetto.
Greta si allontanò lieve, senza far rumore. Passò una mano su fianco della madre e sparì fra la gente.
Carlo continuò a cercarla con occhi avidi. Dov'era finita, e chi erano quelle bocche che parlavano a pochi centimetri da lui..
Uno squillo, poi un altro. Il telefono aveva iniziato a suonare. Lo levo dalla tasca della giacca. Angela, la sua segretaria.
"Dottore, mi scusi per l'ora, ma Le volevo ricordare l'appuntamento di domani alle 11.00 con i signori Innocenti, per il rogito.. ".
"Grazie Alessia".
"Si figuri, è il mio lavoro..Buona serata Dottore".
Quelle due bocche non avevano smesso di vomitare parole nemmeno per un secondo. Non le seguiva, non le capiva.
Finì il gin tonic in pochi sorsi ed accusando un mal di testa improvviso si congedò da Adriana, dalla siliconata Alessia, da tutta quella bolgia di pelle sudata e vestiti troppo fascianti e si diresse all'uscita.
Scese le scale ed all'entrata dell'hotel, appoggiata ad un muretto, trovò Greta.
Aveva sciolto i capelli, li sistemava con le mani. Erano capelli ribelli, intrisi di salsedine.
"Hei Dottore, vieni a fare quattro passi in riva al mare?"
Vieni..dopo ventotto anni di Lei, arrivava un tu.
"Devo andare, mi aspettano degli amici".
La scusa più banale e stupida. Nessuno aspettava Carlo, solo un appartamento troppo buio e caldo.
"Ok Dottore. Arrivederci".
Così dicendo Greta si alzò in piedi, sfilò le infradito, le prese in mano e si diresse verso la spiaggia, verso il mare.
Carlo restò immobile a guardarla. Guardava i suoi piedi, la naturalezza con cui camminava scalza, il suo essere un tutt'uno con la terra. Alla fine sparì nel buio.
Arrivato all'auto sentì vibrare il cellulare. Un messaggio. Si sentì avvampare, forse era Greta, forse era lei che gli chiedeva di raggiungerla, di non lasciarla sola, di condividere con lei il troppo buio. Sfilò il cellulare dalla tasca con due dita. Scottava, o erano le sue mani.
Un nuovo messaggio.
"Dottore, sono sempre Alessia. Mi raccomando, ore 11.00".
14 Giugno.
Ore 14.00. Chiara, come ogni sabato, sta uscendo per il suo appuntamento settimanale. Non viene richiesto molto trucco, né un abbigliamento particolare,è un appuntamento con sé stessa. Lei fra pochi altri. Il luogo dell'incontro dista pochi chilometri, cinque minuti in auto. Chiara arriva puntuale, come ogni sabato, ore 14.15.
Varca le porte automatiche ed incontra subito Anna. Sì, lei li conosce tutti. All'inizio non era stato facile, c'era stata molta diffidenza. Gli sconosciuti fanno sempre paura, almeno alla maggior parte delle persone, ma Chiara non era come la maggior parte.
Anna è sempre lì, al suo solito posto. A quell'ora è china sul pc, a riempire dei moduli su dei fogli excel. Saluta sempre a malapena, non perché sia scortese, ma perché è troppo concentrata, è immersa nel suo mondo. Chiara osserva per una manciata di secondi quella chioma color prugna, che rimane china anche al suo passaggio, e passa oltre.
Si intrattiene a lungo nello spazio adiacente ad Anna. Ci sono troppi colori ed odori per andarsene subito. Meritano attenzione, tatto ed olfatto. Chiara cerca di entrare in contatto con loro, capire quale sia la loro provenienza, se hanno viaggiato a lungo, se sono stati esposti alle intemperie. Alle 14.30 è il turno di Giorgio.
Giorgio è un ragazzetto sui vent'anni. Chiara lo chiama proprio così "ragazzetto", perché il suo corpo è acerbo, minuto in ogni suo aspetto. Sembra che l'adolescenza per lui non abbia mai avuto fine. Giorgio è il custode dei colori. Li maneggia con cura, li osserva, li sistema perché siano comodi e felici. Sì, felici. Chiara lo lascia fare, non disturba. Il suo è un compito importante, e lei lo sa benissimo.
Ore 14.40. Chiara è a metà del suo appuntamento. Incontra Maria e Lorenzo. Maria e Lorenzo, due mondi così diversi eppure così simili. Maria è legata al mare, alle onde, Lorenzo è legato alla terra, al sole. Lavorano vicini, spesso si ignorano. Sono i loro elementi ad imporlo. Il sole rosso, accecante di Lorenzo farebbe del male al blu infinito delle onde di Maria. Si possono solo sfiorare e scambiarsi dei lampi di luce ad intermittenza. E' il loro personale modo di comunicare:freddi lampi di luce che fendono l'aria. Più volte Chiara ha cercato di imparare quell'alfabeto sconosciuto, ma Maria e Lorenzo non lo hanno permesso, ne sarebbero stati custodi in eterno.
L'appuntamento di Chiara sta per volgere al termine, adesso deve trascorrere dieci/quindici minuti sola. Vaga nei corridoi, quasi sempre vuoti. Ogni tanto scorge qualcuno. Vorrebbe avvicinarsi e chiedere come ha trovato i capelli di Anna, eccessivi? o se Giorgio non sia troppo giovane per un incarico di tale portata..o se l'alfabeto segreto sia poi per tutti così segreto...
Ore 15.00. Chiara sta per andarsene. L'ultima persona che deve vedere, obbligatoriamente, è Tamara. Tamara ha le chiavi della porta d'uscita. E' bella Tamara. Un caschetto di capelli neri su due labbra rosse. Chiara osserva i suoi gesti veloci, meccanici. Gesti che ripete per 4, 6 ore di fila. Sorrisi che ripete per 4, 6 ore di fila. "Buona giornata Chiara" " Buona giornata Tamara".
Ore 15.10. Chiara ha sistemato in maniera confusa, come al solito, colori, odori, soli cocenti e onde prorompenti. Si dirige lenta verso il pedaggio. Depone il carrello e ritira il suo euro. L'euro del sabato, l'euro della routine.
Un abbraccio.
Francesca
Ciao Sam!! Hai visto che alla fine ce l'hai fatta? :D Sono davvero onorata delle tue parole..devo dire che Lisetta è entrata un po' nel cuore di tutti..e Maria e Lorenzo sono i simboli dell'amore moderno, un po' come Romeo e Giulietta no?..come ti dicevo su FB non riuscirò mai a scrivere 365 racconti, alcune volte verrò meno, altre scriverò semplicemente delle mie riflessioni personali. Il mio bisogno di scrivere comunque troverà sempre spazio, e mi fa piacere condividerlo con voi che avete così tanta pazienza nel leggermi. Ti auguro una buona giornata.
RispondiEliminaF.